1. Un inizio che non condivido
Non avrei mai pensato di iniziare a scrivere un testo con una partenza tanto retorica.
Uso il negativo, NON, per dar sfogo ad una serie d’idee sull’esatto contrario di quello che vorrei veder scritto.
Infatti, non ho mai appoggiato pienamente quelle critiche che cercano di giustificare ogni aspetto di una narrazione, intravedendo teorie e critiche socio-politiche, nonché forme di psicologia spicciola all’interno di ogni opera letteraria.
Per altro non ho mai apprezzato chi, dopo aver letto un libro, vuole riprodurne un altro cercando di intuire o cercando di far credere di poter entrare nella mente degli autori per spiegare il significato del significante etc. Anzi, faccio spesso leggere ai miei studenti una short story scritta da Isaac Asimov sul Grande Bardo inglese – Il Bardo Immortale, è, appunto, il titolo – in cui Shakespeare, rinato nel nostro mondo grazie ad un’invenzione prodigiosa, si stupisce quando scopre che i critici impiegano mesi e mesi per analizzare una sua opera, scrivono volumi e volumi sui suoi significati, mentre lui l’aveva completata e messa in scena in pochi giorni, per poi scriverla, a mano, occupando un centinaio di pagine.
Un saggio che davvero fa pensare. Al Bardo e ai suoi critici.
Eppure sto per iniziare a imitare proprio questo genere di scrittura pseudo-critica, sto per “buttar giù” alcune riflessioni su un romanzo, un fenomeno letterario del momento che si riferisce ad un genere indirizzato ad una fascia di pubblico generalmente considerato molto poco incline alla letteratura, e alla lettura, vale a dire i bambini.
E questo perché non riesco a considerare la saga di Harry Potter per bambini, o almeno non solo per loro.
Con questo un altro non ci vuole: non voglio scusarmi per essere una accanita lettrice, una fan del maghetto, e non sto assolutamente mettendo in evidenza la violenza di alcune pagine o di alcune descrizioni paurose. Ormai i bambini e gli adolescenti sono avvezzi a crudeltà ben più volutamente marcate anche solo guadando i telegiornali.
No, sto semplicemente rimarcando un fatto che mi è apparso evidente sin dalla prima lettura de La pietra filosofale, e cioè la grande ironia con cui l’autrice scrive una satira del nostro mondo. Una satira, a mio pare che non si cela fin dalle prime pagine. Anzi, viene apertamente descritta con quella consueta ironia tipicamente inglese, che noi chiamiamo humour freddo, ma che dovremmo imparare ad usare.
Non è solo perché siamo lettori scafati e abituati e a vedere dietrologie ovunque, ma è assolutamente sotto gli occhi di tutti il fatto che il mondo magico di Harry Potter è il nostro mondo. Il mondo della magia non si rifà ad una società perfetta in cui tutto funziona al meglio e gli umili, i buoni, gli onesti vincono. L’ autrice J. K. Rowling parla ai bambini facendo l’occhiolino, con i suoi profondi riferimenti letterari e non, agli adulti.
Ma vorrei andare con ordine.
2. Influenze letterarie
Il Settecento : dal realismo al Gotico
Indubbia è l’influenza di tanta letteratura, ovviamente soprattutto anglosassone, che si riflette nell’opera di J. K. Rowling.
Partendo dal Settecento che è stato, per intenderci, il secolo dell’inizio del romanzo in Inghilterra.
Il Settecento ha dato i natali al genere che più rappresenta e al meglio la classe borghese nascente e il suo desiderio di identità.
La Rivoluzione Industriale – termine bizzarro per definire un processo durato secoli di lavoro, di sviluppo, di sacrifici –
aveva appena messo in evidenza i meriti di quella classe che avrebbe poi dominato la storia da lì in avanti. E questa nuova classe aveva bisogno di una propria consapevolezza, di un genere che la rappresentasse nei suoi vari aspetti. Era una classe di uomini che lavoravano, si sacrificavano, sbagliavano e cercavano di sopravvivere in un mondo dove non era tutto scontato, ma anzi, ancora tutto da inventare. Un mondo in cui si proponevano nuove mete e viaggi che però erano lenti, duri, difficili e presupponevano l’approdo in terre ancor più dure, rozze, tutte da scoprire.
Il Settecento letterario propone modelli nuovi. Spariscono fate, streghe e magie “risolvi tutto” e appaiono uomini che talvolta devono anche prendere decisioni poco ortodosse per sopravvivere.
Un esempio per tutti, il Settecento letterario è l’epoca in cui Daniel Defoe scriveva, in Robinson Crusoe, di come un uomo bianco potesse ricostruire il suo habitat naturale – inglese – su un’isola deserta. E di come questo stesso uomo bianco, dopo circa vent’anni – da lui dettagliatamente contati e rendicontati come un registro aziendale – di solitudine e silenzio, trovandosi di fronte ad un indigeno poness quelle che sarebbero state le basi dei rapporti da lì….per sempre: tu sei Venerdì, io sono il tuo padrone.
Manco gli veniva in mente di chiedere il suo nome e di considerarlo un amico.
E’, ancora, il Settecento è il secolo in cui si parla di didattica perché il romanzo deve dettare dei modelli di vita a questa classe emergente, deve proporgli una morale che la porti a lavorare onestamente senza tralasciare cultura e spirito di sacrificio, tenendo conto della visone puritana che rimaneva anche dopo la Guerra civile.
Non sempre questi dettami vengono scritti rispettando regole
in modo serio, talvolta con ironia e con comicità, come ci dimostrano gli scritti di Henry Fielding; di Tobias Smollett e di Laurence Sterne.
Eppure il risultato è lo stesso. Tutti ricalcano e mettono in evidenza il nuovo di questa classe emergente che si fa strada dopo secoli di buia servitù e di umiliazioni.
Ecco, in questo secolo, verso gli ultimi anni, un ricco figlio di un famoso primo Ministro inizia il suo romanzo, Il Castello di Otranto, con un grosso elmo che appare nel cielo e cade, schiacciando al suolo l’unico erede maschio di una piccola dinastia, erede che dopo il matrimonio sarebbe sicuramente salito al trono.
Da lì una serie di vicende tra mistero e magia
Il romanzo gotico di fine 1700 ha fatto molti più seguaci di quanto Horace Walpole avrebbe mai potuto intuire quando scrisse il suo romanzo durante il secolo, per eccellenza, dell’Illuminismo, della realtà, del razionale.
Dunque, un cambiamento apparentemente repentino sulla scena del panorama letterario anglosassone. Ovviamente un lento processo per passare da uno stretto realismo ad un mondo che si rifà più all’intimo dell’uomo, all’immaginazione.
Il mondo del gotico è diverso e sembra tornare alle saghe nordiche. Le vicende sono avvolte nel mistero, si sviluppano in luoghi bui, immersi nelle nebbie più scure che nascondono delitti e dove i criminali facilmente si possono dileguare.
I personaggi maschili sono tenebrosi, le giovani donne, invece,
sono pure ed innocenti, vittime inconsapevoli di questi malevoli
individui di cui sopra.
E questi luoghi e questi personaggi hanno popolato da allora in poi la prosa di tanto ‘800.
Le donne scrittrici, in particolare sono state attratte da quel genere che fondeva antico e moderno.
Forse meno impegnate nel lavorio degli uomini, forse meno coinvolte socialmente, con più possibilità di leggere e di dare sfogo alla propria fantasia senza il timore di essere considerate frivole.
I paesaggi di Anna Radcliffe – l’autrice di I Misteri di Udolfo – erano quelli che avevano davanti ai loro occhi o erano terre di cui iniziavano a leggere nei resoconti dei diari dei viaggi dell’epoca, mentre le vicende riproponevano un gusto per l’ignoto, lo sconosciuto che aveva un sapore di riscoperta antica.
L’influenza del gotico è stata tale da meritarsi anche delle farse, delle parodie scritte da autrici famose e popolari per la loro realistica rappresentazione del sociale come Jane Austen, che, per contrasto, pone al centro del suo romanzo Northanger Abbey un’anti-eroina tra le prime che la storia letteraria possa ricordare. Catherine Moreland è bruttina, comune e senza alcuna preziosa e superba qualità. Oggi la definiremmo, la ragazza della porta accanto. Ma anche lei vuole ed avrà la sua avventura pseudo-gotica e troverà il suo bel tenebroso.
Eppure, proprio dal romanzo gotico nasce tutta una letteratura che molti hanno visto come sottogenere o sottoproduzione e che, forse, la maggior parte dei lettori di qualità ritiene popolare.
Non sono d’accordo, non tutto questo genere è puro intrattenimento: è una letteratura che più di ogni altra rivela l’individuo, senza pretesa di definire o descrivere i sentimenti
che nessuno potrebbe delineare, tanto meno una persona estranea a noi stessi.
Proprio dal gotico sono derivati i generi che ora più che mai sono di moda, ma anche e soprattutto quel modo di fare romanzi per rivelare paure e angosce che il nostro inconscio cela a noi stessi.
Ovviamente la fonte prima di tanta immaginazione ci riporta a quel genio di William Shakespeare: il Bardo già alla fine del
1500 e inizi del 1600 faceva uso del soprannaturale per spiegare sogni e desideri o paure celate o ignote ad un pubblico incolto che andava a veder le sue opera per il prezzo di una bevanda, possibilmente alcolica.
Le streghe e i fantasmi di Macbeth o il ben noto spettro di Hamlet altro non sono che proiezioni di ambizioni, paure e dubbi dei grandi protagonisti. Come spiegarli in un mondo senza scenari ed effetti speciali? Come spiegarli in un periodo in cui Sigmund Freud ancora non aveva parlato di ego, alter ego, inconscio, sogno?
Ora torniamo al Gotico
Il romanzo, così si racconta, fu scritto in una notte, quasi per scommessa, nel castello del medico italiano John William Polidori, a sua volta creatore di uno dei primi vampiri che la storia ricordi nel romanzo breve Il Vampiro, appunto.
Ecco l’avvento del soprannaturale.
E quindi, per tornare a Frankenstein, una ragazza diciottenne di celebri natali e di grande cultura, ma pur sempre adolescente, cerca di spiegare quello che rimane i problema irrisolto della nostra esistenza: perché la morte? Perché la sofferenza?
Lo scienziato fuori dalle righe ed amante della ricerca, scopre il sistema di ridare la vita ad una cadavere, di studiare come restituire la propria funzione agli organi e crea la creatura. Crea la creatura e non il mostro. Mostro, l’uomo creato dai vari pezzi, diventa quando viene a contatto con la società con gli altri, con l’esterno che non percepisce e non accetta il diverso perché mette in discussione, perché fa riflettere.
Sono temi di grande attualità e che sempre fanno discutere mettendo a confronto le varie scienze e la morale comune. sono dunque temi non risolti.
Da molti Frankenstein viene visto come l’anticipatore della Fantascienza, un genere che sicuramente ha del fantastico e appartiene ad una nicchia di lettori, ma che anche ha radunato tra le sue file scrittori come Jules Verne , H.G.Wells e il già citato Isaac Asimov che hanno contribuito a uno sviluppo non solo letterario.
Non dimentichiamo la fatale previsione di H.G.Wells che, ne La Guerra dei Due Mondi, già prospettava, alla fine della Prima Guerra Mondiale, un altro conflitto, e peggiore. Compreso l’impiego di armi non convenzionali almeno per l’epoca.
In L’Isola Del Dottor Moreau analizzava il problema della clonazione in modo ancora un po’ grezzo, ma il desiderio di riprodurre e di manipolare è insito nella mente degli scienziati. In più la crudeltà di tali esperimenti non è stata solo un’ipotesi.
I Vittoriani
L’800 sarà il secolo del romanzo per eccellenza. Ovviamente visto che la classe borghese dominerà l’economia del paese e la porterà a diventare un impero anche in Asia.
Ed anche all’inizio di questo secolo i romanzi rispecchieranno una realtà di lavoro e di scalata sociale, come ben testimoniano William Thakeray e Charles Dickens.
Ma, di nuovo, dopo un inizio secolo che vedeva l’uomo come animale sociale, la disillusione, il bisogno di ritrovarsi in una certa dimensione più intima, portano gli autori ad una maggiore introspezione e ad uno studio dell’uomo.
Certo non mancano anche i motivi sociali ed economici per farlo. Tanta ricchezza e tanto clamore nel mondo, tanto potere hanno, però, messo in discussione l’uomo come individuo, i suoi sentimenti e le sue emozioni.
Il confronto con le altre culture e i nuovi studi l’hanno portato a riflettere.
John Ruskin ha messo in discussione la sua capacità di fare, di creare, di essere libero nel progettare. Ha proposto un ritorno – guarda caso – al gotico prendendo come esempio l’architetture di Venezia, così tremendamente distante da quella utilitaristica tanto vantata – e ridicolizzata con un po’ di amarezza – da Dickens in Hard Times. Alle casette tutte uguali, alla prigione simile alla scuola e alla chiesa contrappone le cattedrali gotiche che mettono in risalto la capacità dell’uomo di trarre da un blocco di marmo le meraviglie più impensate.
Alle casette tutte uguali dei quartieri di Londra, si contrappone la spettrale e misteriosa grandiosità della scuola di magia di Hogwart.
Ma non solo, anche la scienza inizia a porre dei dubbi su quelle certezze su cui la Chiesa aveva basato il suo potere.
Charles Darwin, un “semplice” studioso a bordo del “Beagle”
Scopre isole sconosciute, studia animali mai visti e ipotizza una nuova genesi: la discendenza dell’uomo dall’animale, l’adattamento delle specie ad un nuovo ambiente, al variare del tempo e del luogo. E la Chiesa, ovviamente, reagisce. Ma ormai i semi del dubbio sono stati gettati e la scienza può veramente andare oltre e ricercare.
Ma anche il letterato non sfugge a questi nuovi influssi, da uomo sensibile al cambiamento e alle influenze esterne quale è.
Se il mondo ora gli sembra soffocarlo, se la realtà gli sta stretta, se i nuovo stimoli lo fanno riflettere circa la sua esistenza ed il suo essere individuale, non può far altro che cercare lo sconosciuto che si annida in lui. Quella voce che gli fa capire la sua inadeguatezza in questo mondo gli fa anche capire che deve scoprire la propria verità, lo sconosciuto, il diverso che vive in lui.
Da lì, con l’intento di trovare se stessi e il mondo in cui vivere, le strade si diramano e noi lettori possiamo passare dall’esteticismo di Oscar Wilde all’ambigua scienza – e coscienza – di Robert Louis Stevenson, alla descrizione di mondi lontani e affascinanti – ma pericolosi – di Rudjard Kipling, per poi tornare nell’amata Inghilterra sassone di Thomas Hardy.
Varietà di temi, stili e linguaggi che però , come denominatore comune hanno la ricerca.
Modernismo
Una ricerca che sfocerà in quella analisi e in quell’approfondimento della lingua, dei suoi usi e significati che avviene nel Modernismo dei primi del 1900.
Nel Modernismo il tempo perde il suo valore, diventa tempo interiore e tempo esteriore con durate diverse da individuo a individuo. Non ci sono più barriere tra subconscio e inconscio, come tra passato e presente: lo studio dell’uomo di se stesso non viene scandito né diviso.
Il monologo interiore diventa un a confessione senza spazi o punteggiature, un flusso totale di quella coscienza che scaturisce dall’uomo con le sue contraddizioni e le sue deviazioni. Non è più necessario il viaggio di una vita per comprendere le proprie verità, non ci sono più simboli universali per interpretare o dare un volto ad una idea.
Bastano le immagini che ci compaiono quotidianamente, una musica che ci colpisce, le azioni di una giornata per rivelare all’uomo coscienze di cui, per una vita, non si era reso conto.
Quindi un genere come la Fantasy, che può fare a meno di tutte queste barriere perché lascia pieno spazio alla fantasia, incarna al meglio questa possibilità di esteriorizzare la propria anima.
3. Harry Potter e le sue fonti
Morte e vita in morte
Si può non morire, e Lord Voldemort non è morto, come invece lo sono i genitori di Harry, il male è resuscitato.
Vita e morte per secoli e tutt’oggi rappresentano il tema su cui fa perno questa letteratura definita minore, pur prendendo sembianze diverse.
La mummia che unisce passato e presente, mondo reale e mondo dell’oltretomba, riprende vita e si nutre delle anime degli esseri viventi per reincarnarsi e vendicarsi. Dracula, Nosferatu, il vampiro, il non morto che vuol far tornare in vita
la creatura che gli è stata strappata, si nutre del sangue degli altri per rigenerarsi e per raggiungere il suo scopo. Gli zombi sono morti che sfuggano dalla loro tomba per minacciare i viventi e per chiedere vendetta.
Voldemort si nutre delle anime dei deboli per riprendere la sua forza, mangia chi gli appare davanti per riprendere sembianze umane; occupa i corpi umani dei più deboli per poter esercitare la sua forza, si nutre del latte del serpente per ritornare malvagiamente in vita.
Voldemort non è altro che uno zombi senza volto che minaccia coloro che si frappongono fra lui e la sua ricostruzione. Anzi, addirittura il suo nome non deve essere citato, ripetuto.
Lui è Colui – Che – Non – Deve – Essere – Nominato per timore che possa ricomparire. Un nuovo conte Dracula che assume volti e sembianze, identità diverse che richiamano la sua natura e la sua casata, senza mai essere nominato con il suo vero terribile nome, Dracula.
Non sono esseri negativi da sempre, sono esseri che hanno pagato con la vita la loro diversità e ora si vendicano con delitti efferati di coloro che non sono stati toccati dalla stessa sorte.
Il Chi – Tu – Sai nemico di Harry poteva essere un ragazzo qualunque, ma è finito nel Serpeverde ed ha evidenziato i suoi poteri negativi….e non dimentichiamoci che il cappello magico, il sorting hat, rimane perplesso anche davanti a Harry. Ha le potenzialità, ha il coraggio, ha il talento per diventare un Serpeverde, solo la sua volontà gli permette di sfuggire al male.
Il suo desiderio più forte e preponderante è, in fatti, di stare
con il primo essere umano che gli abbia dimostrato affetto e simpatia, con il lentigginoso Ron Weasley. Fin troppo facile dire quindi che l’amore vince, ma, senza esagerare nei termini, sicuramente da sicurezza e dona stima a chi lo sente veramente. Fornisce un motivo per vivere al meglio.
Il doppio
Questa riflessione sulla possibilità di Harry di abbracciare la causa sbagliata ci porta ad un altro tema caro a questo sotto – genere di letteratura, il motivo del bene e male.
Quale è il confine, è ovviamente impossibile dirlo: situazioni, tradizioni e culture cambiano e con questi anche il limite sottile tra i due valori. Quello che è certo è che loro convivono in ognuno di noi sempre e che difficilmente riusciamo a distinguerli e/o a sceglierli.
Heathcliff in Wuthering Heights, non è il villain a cui tanti romanzi gotici ci avevano abituati, eppure porta alla rovina chi lo ama e lui stesso. Catherine rappresenta una sua proiezione, lei è Heathcliff, come lei stessa dice, e Isabel Linton lo ama perché eroe romantico, misterioso e tenebroso.
Il romanzo di Emily Bronte, capolavoro del primo periodo vittoriano, non è certo considerato un romanzo fantastico, eppure le due case, le vere protagoniste di questa opera, sono l’incarnazione di questi due estremi. Rappresentano il bene e il male, che, in quel periodo di grande sviluppo economico, ma anche di regole strette e, talvolta, repressive, incarnano ciò che di razionale e irrazionale esiste sempre nell’uomo.
In questo caso irrazionali sono le persone che seguono l’istinto, la passione ovunque questa ti porti e qualsiasi siano le conseguenze; razionali sono le regole sociali del bel mondo civile fatto sì di lavoro, ma anche di feste, vestiti, modi di fare accurati e studiati.
Rappresentano anche quella forma di civiltà, di cristiano vivere giusto e onesto l’uomo bianco, col suo fardello, andava ad esportare cercando di civilizzare il resto del mondo, oscuro e poco conosciuto, un mondo ancora fatto di tradizioni barbare e selvagge.
In ultimo, quelle due case dai nomi impossibili da pronunciare e vagamente legati ancora alla natura dove stavano – sia Wuthering Heights sia Thrushcross Grange sono nelle scozzesi moor, i prati di erica – rappresentano ancor oggi il desiderio dell’uomo di non crescere, di evitare il mondo sociale fatto di regole e perbenismo. Di rimanere in un mondo che ancora può vivere senza ipocriti compromessi.
Allo stesso modo, la Londra dalle case tutte uguali abitate da semplici babbani, tutti ben pensanti come i Dudley, si contrappone al regno di Hogwart, immaginario, splendido, fatato, ma magico, impossibile, irrazionale.
E’ semplice, di conseguenza, vedere una reazione in questi romanzi dell’800 a quel mondo Vittoriano conformista utilitarista e ben pensante fino all’ipocrisia, una reazione verso il lontano, l’irrazionale, il magico o, semplicemente, il diverso.
L’evasione
Dunque si trattava di evasione.
Dr Jeckyll vuole evadere dalla routine che lo vede buon dottore colto e raffinato e sceglie il bruto, la bestia che c’è in lui. Inizialmente cerca di nascondere la voglia di essere diverso: chiama Hyde quella creatura che sta prendendo il sopravvento e che non aspetta più la pozione per incarnarsi in lui.
Hyde è un essere piccolo, dalle lunghe braccia, peloso ovunque e dallo sguardo selvaggio, animale, scimmiesco potremmo aggiungere visto la chiara influenza degli scritti di Charles Darwin sulle sue scoperte. L’uomo non solo discende dall’animale, ma lo conserva in sé stesso.
Ed è l’animale che si nasconde in lui che copie i delitti. Il mondo in cui Hyde si aggira è una Londra cupa e tetra, ovviamente nebbiosa. E’ un mondo senza figure femminili, senza amore, forse perché anche il suo stesso autore, Robert Louis Stevenson, una donna che cambia la sua vita l’ha trovata, ma nel Nuovo Mondo, non nella civile Inghilterra. E con lei ha dovuto scappare nelle famose Isole dei Mari del Sud per poter convivere con la tubercolosi che lo tormenta e per poter mettere in evidenza tutti i suoi lati di uomo di legge, di medico, mestiere che eserciterà tra quegli indigeni incivili che lo accoglieranno come un nuovo santone dalle arti magiche sconosciute e che gli erigeranno una statua alla sua morte per onorarlo e ringraziarlo del suo aiuto.
Hyde è una sorta di alieno che cresce a dismisura e che non lascia più spazio al razionale. Torniamo in questo senso alla fantascienza.
Ma nello stesso periodo fine vittoriano vive pure Dorian Gray, pseudo Dr Faustus creato a sua immagine da Oscar Wilde, autore noto soprattutto per essere uno degli ultimi dandy, degli ultimi esteti amatori del bello, del prezioso, dell’unico.
Dorian Gray specchia il suo inconscio in una tela e poi la nasconde, velata, in uno studio, nella zona più alta della casa, per non doversi confrontare coi suoi crimini.
Come già lo zio di Wilde, Charles Maturin – un prete dandy, per sua definizione – aveva scritto in Melmoth the Wanderer circa uno specchio che appunto rispecchiava i peccati e i crimini dell’uomo. Dunque in questo caso il male è una proiezione. Potremmo guardarlo per migliorarci, ma è meglio nasconderlo.
Dorian Gray vende la sua anima al diavolo, Lord Henry, che lo incanta con la sua voce e le sue parole.
Harry cerca di sfuggire il sibilo del serpente del male: ne comprende la lingua e vuole evitarlo, non vuole cedere.
Dorian Gray, invece, un uomo dal bellissimo aspetto, non vuole vedre i segni che la vecchiaia crudelmente rivela della nostra anima. Le rughe non sono solo così segni del tempo, ma rivelano ciò che noi siamo “dentro”, le nostre miserie, i nostri vizi. Dorian Gray cela i suoi crimini.
Così pure Algernon e Jack de L’Importanza di Chiamarsi Ernesto inventano dei loro “doppi” per potersi divertire nei luoghi dove non sono conosciuti, dove devono rappresentare quella “respectability” vittoriana che li sta opprimendo con schemi e ruoli talvolta falsi, talvolta troppo artefatti. Si macchiano di colpe lontano dal loro habitat.
4- Il Criminale e i suoi crimini
Ma quali sono queste colpe? E di che crimini si tratta? Qual è il vero crimine?
Oggi Dorian Gray e i personaggi come lui, Hyde compreso, non sarebbero neppure paragonabili ai moderni serial killer a cui tanta televisione e cinema ci hanno abituato…
Sì, uccidono, ma senza premeditazione e nessun “profiler” potrebbe trovare luoghi comuni ad altri nei loro atteggiamenti.
Dunque possiamo solo scoprire che il loro crimine sta nell’aver capito la natura umana, l’anima che non è così facilmente comprensibile, nasconde facce in perscrutabili e verità che non vogliamo affrontare.
Questo discorso era già iniziato nel primo ottocento da Wilkie Collins, scrittore giallista poco noto, in un’epoca in cui di gialli forse iniziava appena a sentirsi la necessità.
Wilkie Collins, amico di del ben più famoso Charles Dickens, aveva dimostrato come l’uomo più per bene, più caritatevole e più disponibile possa celare una natura di tutt’altro genere. E
che non ha bisogno di rivelarla di notte, basta cambiar luogo.
Così ne La Pietra di Luna e ne La Signora in Bianco, gli integerrimi abitanti della tranquilla campagna inglese, in verità rivelano peccati nascosti peggio della provincia american di Peyton.
Stessa operazione proprio oltre mare l’aveva già compiuta il padre delle detective story e dell’horror, Edgar Allan Poe.
Lo scrittore americano dai mille volti, già ci aveva messi in guardia: la paura è dentro di noi, non nel mondo esterno. Il male non è fuori è dentro. Inutile barricarci cercando di proteggerci: non ci si può proteggere da se stessi. Noi dobbiamo saperci accettare e poi saremo accettati. In noi convivono le forze del bene e del male.
E i Dementors che Harry e compagni devono sconfiggere sono una creazione brillante della Rowling: sono le proiezioni delle paure più nascoste ed irrivelabili. Come fuggirne? Ecco la britannica ironia dell’autrice: bisogna ridicolizzarli. Un arma che dovremmo sapere usare. Non bisogna prenderci troppo sul serio, bisogna ridere di noi stessi per poter sconfiggere le nostre angosce.
Un arma bel diversa usava, invece, il serissimo personaggio di Sir Arthur Conan Doyle. Il celeberrimo Sherlock Holmes. Questo razionalissimo, logicissimo detective che si basa su indizi piccolissimi per scoprire il criminale, con una precisione scientifica; il detective tutto d’un pezzo che non perde mai la calma, che della deduzione logica ne ha fatto un’arte e il cui unico amico, Dr Watson, è un medico, uno scienziato…..si droga.
Già, è un “opium addict”, per dirla all’inglese, un’eroinomane detto in linguaggio moderno, e Nel Segno dei Quattro scrive una prefazione in cui spiega come procede in questo suo vizio, cosa fa, come usa la droga.
Non era una novità per l’epoca. Del resto, senza medicinali, le erbe di ogni genere venivano usate, nella giusta quantità come curative o per lenire il dolore. Ma per lui è diverso.
Dunque, Holmes stesso è doppio: alla sua realtà fatta di logica fa da contrappeso un momento in cui si lascia andare al viaggio….
Strano, e neppure Dottor Watson lo ferma. L’altro suo alter ego.
Il personaggio di Conan Doyle era nato per caso quando una rivista americana, la Lipcott magazine aveva richiesto la
scrittura di un libro giallo sia a Sir Arthur sia a Oscar Wilde. Da questa richiesta editoriale erano nati appunto Il Ritratto di Dorian Gray e Il Segno dei Quattro. Difficile pensare al capolavoro e, per altro, unico romanzo di Wilde come a un giallo. E’ un giallo dell’anima in conflitto con se stessa e che cerca se stessa.
Ovviamente Sir Conan Doyle era invece riuscito nel suo intento. Ma il doppio, la dualità dell’uomo anche in questo caso erano presenti e non come altro da sé, ma come insite nella stessa natura.
Il nostro beniamino Harry Potter – già, perché è di lui che stiamo parlando – il doppio lo scopre a sue spese. Lui può parlare con i serpenti, sua è la voce che dice al pitone di fuggire dalla teca del rettilario nel primo libro ed è l’unico che può intendere il basilisco. Il male che sta fuggendo deve quindi essere assolutamente affrontato se no si impossesserà di lui per sempre.
Ecco perché il tema del sosia è così tremendamente presente in tanta letteratura, senza aspettare l’avvento di Sigmund Freud e dei suoi seguaci.
Il doppelgänger, come i tedeschi definiscono appunto il sosia, il doppio, è quel Mago Sabbiolino di uno dei racconti del grande tedesco E T A Hoffamn; il sosia è in Coppelius che crea, come già Pigmalione aveva fatto nell’antichità, una creatura per poi innamorarsene e da cui artisti hanno tratto ispirazione, non solo in campo letterario, ma in quello musicale.
Torniamo per un momento a Dracula. Il libro di Bram Stoker, così tanto sfruttato e, direi, ridicolizzato dalla cinematografia, ha un grande valore in sé. A parte il livello linguistico che è sicuramente elevato, ma l’idea di colui che si nutre della linfa vitale degli altri per vivere è un’idea grandiosa. Esistono in natura persone che, inconsciamente – almeno spero – fanno
questo perché incapaci ad esistere da soli. La psicoanalisi ha ripreso il termine per segnalare questo tipo di patologia che sicuramente fa patire chi ne soffre, ma anche, e direi soprattutto, chi sta accanto.
Non solo. Ma l’autore ha ripreso il tema della trasmigrazione dell’anima o della reincarnazione ne Il Gioiello delle Sette Stelle, romanzo difficile e non terminato, che si rifà all’antico Egitto e in cui una principessa appunto lascia il suo sarcofago per reincarnarsi in una giovane donna.
Leggenda vuole che Stoker scrivesse i suoi testi con un sarcofago con tanto di mummia alle sue spalle, quello stesso sarcofago e quella stessa mummia che, venduti ad un compratore d’ oltreoceano, furono la causa del disastro del Titanic….ma questo non è pertinente.
Ciò che invece mi affascina è come la fantasia, l’immaginazione abbiano portato a vedere delle realtà che saranno riprese in modo scientifico.
Del resto anche Edgar Allan Poe era stato attratto dalle mummie e dall’antico Egitto e aveva scritto una delle sue short stories, Quattro Chiacchere con una Mummia in cui fa uso di ironia e umorismo, una delle poche, in realtà…..una mummia che viene “scartata” da una serie di scienziati che avevano ipotizzato le analisi più curiose su quel lontano mondo così affascinante e che rivela, risvegliandosi, ben altre verità. Era stata, secondo l’autore americano, ibernata, e Poe
stesso conclude, non sarebbe una cattiva idea per sfuggire da moglie, famiglia, responsabilità.
Dunque, non sarebbe male sfuggire dalle regole del vivere sociale.
Un altro viaggio, un’altra fuga. Un altro doppio.
Doppio è Marlow che parla di Kurtz e fa una scelta ben diversa, sceglie la menzogna per vivere nella civiltà. Eppure Heart of Darkness non è sicuramente un romanzo fantastico: è la vita reale, l’esperienza che Joseph Conrad, l’autore stesso, ha fatto in età giovanile compiendo un viaggio che diventa, come sempre, auto-consapevolezza. L’autore, come il protagonista del suo romanzo, Kurtz, è un uomo che tutta l’Europa aveva partecipato a creare.
Conrad è un uomo di mare prima di essere uno scrittore. E’ un uomo che pur non essendo nato in Inghilterra sceglie di scrivere in inglese, forse intuendo che sarà la lingua del futuro, forse perché essendo nata per sovrapposizione, offre più registri linguistici di quanto non si pensi.
Le parole stesse dunque hanno un loro doppio, hanno una connotazione diverse a seconda delle loro origini. Un inglese classico, latino-francese viene usato per la lingua letteraria, della scienza, della chiesa, della musica, un inglese anglosassone è usato per i termini concreti, per la parlata quotidiana, per la comunicazione immediata e senza doppi sensi.
Le parole che La autrice di harry Potter usa hanno una valenza doppia: pensiamo solo agli enigmi ed agli anagrammi sul termine Voldemort – che già di per se stesso implica visione di morte e distruzione; pensiamo alla Preside Dolores Humbridge il cui nome suggerisce dolore (dolores) e risentimento (in inglese umbrage) e così via.
Dunque le tematiche del fantastico, del romanzo popolare, conquistano anche la letteratura alta e la lingua alta. Il fantastico diventa genere letterario a tutti gli effetti.
Il doppio dei romanzi gialli, dei fantasmi dei racconti dell’orrore e del mistero, l’alieno della fantascienza non sono che proiezioni di paure, di insicurezze o di ciò che non vorremmo esistesse, cioè il male.
5- La diversità
Dunque Harry è il diverso. Diverso nel mondo dei babbani che lui non capisce e da cui non è capito.
E’ semplice, innocente, non è egoista. I suoi capelli ricrescono continuamente, deve portare gli occhiali che suo cugino rompe di continuo.
E, questo è l’aspetto più marcatamente strano nel nostro mondo, crede nell’amicizia e nella giustizia.
Forse è proprio questa la sua stranezza, la sua diversità. Harry rimane come è anche quando incontra quello che dovrebbe essere il sui vero mondo, la magia, il magico mondo di Hogwart. Non si monta la testa, rimane semplice e sincero. Non sembra neppure capire di possedere quei doni straordinari, se ne rende conto piano piano.
Harry stesso sembra sia l’altra faccia di Voldemort, ancora innocente e volta al bene, l’alter ego di Colui – Che –Non – Si – Può – Nominare (quasi un Innominato di manzoniana memoria il cui nome mette timore nel momento stesso che lo si pronuncia). Entrambi hanno coraggio da vendere e poteri di uguale forza. Harry percepisce l’attrazione al male, sente le voci, ma ha degli amici e evita di cadere nelle trappola. Il mondo magico di Howgart non basterebbe da solo, nonostante Silente, nonostante i professori, a difendere il bene.
Harry, quindi, sfugge da quel mondo dei Dudley – conformista, materialista, bacchettone e ipocrita – per andare nel suo mando magico. Ma quasi come un moderno Gulliver swiftiano, sbarca in un nuovo mondo, diverso, strano dove però solo apparentemente le cose vanno per il giusto verso, solo apparentemente gli uomini finalmente vivono felicemente insieme.
Anche Harry come Gulliver scopre che in ogni regno esiste un rovescio della medaglia tragico e mortale. Sempre gli uomini cercano di sopraffarsi e di prendere il potere. L’uguaglianza che sempre si spera utopicamente di trovare finalmente, non la si incontra mai.
6. Mondo degli umani vs mondo dei maghi
E qui è il vero nucleo di ciò che volevo dire. Il modo di fate, maghi e streghe è, in fine, un’ennesima proiezione del mondo dei comuni mortali. Vestiti diversi, diversi strumenti, ma stessa lotta tra bene e male.
Il diverso, alla fine, è la persona normale, sincera che non porta maschere o vestiti, che non è più alta della norma e che non si atteggia a supersensitivo. E’ l’uomo in se stesso che si accetta e che rimane come era.
Come non vedere quindi una satira alla Orwell in un mondo dove, nonostante si parli di poteri sovrannaturali, i maghi si fanno le scarpe, per usare un termine babbano, tra loro come
comuni mortali, gli insegnanti prendono le difese dell’uno o dell’altro come in una normale scuola.
Anzi Piton, un nome una promessa, addirittura vorrebbe prendere un altra cattedra, ma chissà per quale strana graduatoria, non riesce a ottenere il trasferimento tanto agognato. Ed un insegnate nel primo libro, l’insegnante di difesa dalle arti oscure altri non è che il male esso stesso, avvolto sotto il turbante. E’ un uomo con due facce. Questo è sicuramente un argomento noto alla signora Rowling. Mi viene da pensare che le sue esperienze come scolara e studentessa siano state quelle di tutti noi….o almeno le percezioni di disuguaglianze, preferenze, frustrazioni siano quelle i ogni studenti del passato e del presente e, temo, del futuro.
Anche i suoi inizi come insegnante sono stati abbastanza difficili. Dopo un periodo in Portogallo, la signora Rowling torna in Inghilterra come insegnante di inglese ma perde il posto – questo è gergo da insegnanti – nel periodo dei grandi tagli alle istituzioni pubbliche, il periodo del primo ministro inglese Margaret Thatcher.
Non voglio assolutamente disquisire su meriti o demeriti politici perché non sono in grado. Sta di fatto che, leggenda vuole, l’autrice di Harry Potter si sia trovata senza lavoro e
con una figlia piccola e abbia iniziato a scrivere. Meno male, aggiungo io, visto il mio apprezzamento per ciò che scrive e per come lo scrive.
La sua cultura è evidente in ogni pagina. Ho già menzionato alcune ben note citazioni e alcuni riferimenti, ma senza dubbio la tradizione del romanzo anglosassone è ben nota a questa attenta scrittrice ed osservatrice della realtà e non solo dell’infanzia.
E’ vero che l’Inghilterra ha sempre avuto una grande preoccupazione verso la formazione dei ragazzi e ha da sempre dedicato libri di grandi autori a loro. Un impresa da non sottovalutare perché è veramente complesso il modo in cui ci si deve approcciare ai ragazzi e spesso si sfocia nel banale e privo di gusto.
Non dobbiamo dimenticare i grandi predecessori di J K Rowling in questo campo, gli autori di favole e di racconti per i ragazzi.
E proprio a proposito di istinto e di diverso, di sconosciuto, romanzi come Kim o Il Libro della Giungla di Rudyard Kipling sono stati importantissimi nella nostra formazione, ma ancora ci danno spunti per pensare. Quei ragazzi di altri mondi e di altre culture sono comunque ragazzi che devono lottare non solo contro una società in evoluzione, ma contro una natura che sicuramente dona a loro molto in termini di ricchezza e varietà, ma anche in termini di pericolo e sopravvivenza.
Mowgli trova un suo habitat e modo di vivere all’interno della giungla e gli animali diventano suoi amici e suoi padri, ma questo non toglie che anche lui debba far capire il suo valore e debba acquisire le sue sicurezze. Debba, in una parola, crescere.
Il paragone del mondo come una giungla è sicuramente banale a questo punto, però è pur vero che ogni società ha le sue leggi e le sue regole comportamentali a cui l’uomo deve comunque sottostare.
Tarzan stesso, il grande e grosso eroe dall’urlo agghiacciante scopre che nel mondo a cui lui appartiene, quello degli uomini, è difficile vivere perché non solo si bada alle regole dettate dall’istinto, ma anche a quelle ben più sottili che lui non subito afferra e che sono quelle del potere, potere anche sulla stessa natura.
Ma in questo conflitto, l’uomo è il perdente. La natura è una forza vitale che non può essere abbattuta, domata sì, forse per un periodo, ma rinasce e riprende il sopravvento.
Così come in noi stessi la parte istintiva, se riscoperta, se lasciata libera, non la si può più incatenare. Non bastano le formule, gli studi scientifici o e il famoso autocontrollo. E’ in noi e non possiamo liberarcene.
Pensiamo a Jeckyll che si uccide, ma nel momento della morte si ritrasforma in Hyde; pensiamo a Dorian che pugnala non il quadro, ma se stesso e il suo viso diventa il quadro che lui aveva nascosto. Pensiamo al protagonista senza nome dei vari racconti di Poe – senza nome, questo già è un indizio, è il chiunque – che rivela alla polizia i suoi crimini senza neppure rendersene conto tanto è il suo bisogno di rivelare la sua natura.(Il cuore Rivelatore; Il Gatto Nero).
Ma andiamo a considerare anche la poesia. Robert Browning , uno dei primi poeti del primo periodo vittoriano ad usare il Monologo Drammatico in poesia, appunto e non a teatro. In My Last Duchess (La mia Ultima Duchessa non rende sufficientemente il concetto, e non so dare una diversa traduzione) rivela di aver ordinato l’assassinio della moglie.
Lo rivela quasi inconsciamente, mostrando un quadro che, appunto, la ritrae. E lo rivela a colui che dovrà rappresentarlo presso il futuro suocero. Direi una proposta di matrimonio alquanto improbabile, nonostante si parli di Medio Evo. Il suo alter ego non è stato sufficientemente sotto controllo e lui si è rivelato per quel che è: egoista, presuntuoso possessivo (Sorrideva a tutti non solo a me, ecco il motivo del crimine).
Torniamo all’amore per l’educazione letteraria dei giovani nel Regno Unito, visto che continuiamo a far riferimento ad autori
anche di origine irlandese. Il mondo nordico in genere, ama molto lo stile favola per trasmettere i propri messaggi più o meno scomodi.
Le leggende celtiche oralmente tramandate da una generazione a quella successiva e quelle medioevali hanno sempre avuto molto presa sull’immaginazione dei giovani. Pensiamo a Beowulf: la lotta contro il basilisco, il serpentone, che Harry deve sostenere ricorda i combattimenti del guerriero sassone contro Grendel e con il figlio (The Chamber of Secrets).
Re Artù nella sua mitica Camelot sembra un re delle favole, ma anch’egli è costretto a scoprire che pure lì tradimento e rovina stanno in agguato. Merlino lo aiutava con la sua magia che a nulla poteva però contro il fato e i suoi tragici eventi. E Silente , anche il potente e saggio Silente – Dumbledoor – muore, sfinito si sacrifica per amore di Harry, il predestinato a vincere il male.
Harry a volte ci sembra sospeso tra un mondo fatto di tragiche favole alla Oscar Wilde o quello di ambigui e satirici nonsense delle storie di Lewis Carroll. Anche Harry attraversa
uno specchio quando prende quel binario – nove e tre quarti – inesistente e irrompe in un altro mondo. O quando varca il confine di un affollato vicolo di Londra per ricomparire nello strampalato Diagon Alley. Anche in quest’altro mondo non tutti sono buoni e generosi, invidia, gelosia cattiveria rimangono e rompono l’incantesimo dell’ingenuità.
E sicuramente ci sono echi di quel King Kong che ha subito vari adattamenti, ma che nella nostra memoria ci compare sempre come un buon bestione, sradicato dal suo mondo, che si innamora di una bella ragazza. E questo succede al fratellino di Hagrid, Gawp, il mezzo-gigante, che guarda Hermione con occhi teneri.
Harry è un Peter Pan che, nella sua Neverland, cerca di conservare i valori in cui crede, valori che i suoi genitori gli avevano in qualche modo tramandato pur senza averli mai incontrati. Anche Harry è inseguito dall’inesorabile ticchettio del tempo: non ha la forma di un temibile coccodrillo, ma gli strani individui che popolano il suo mondo gli ricordano che anche per lui il tempo passa e il male va sconfitto.
Come in ogni favola che si rispetti i buoni devono sopravvivere, ma il prezzo da pagare è sempre alto. E le azioni che si compiono non sempre sono da ritenersi del tutto morali.
Harry mente, non rispetta tutte le regole, disobbedisce, non è un alunno modello, a volte sembra oppresso dalla fama che lo precede e che lo obbliga a prendere decisioni che non sempre sembrano consone al suo carattere tranquillo e semplice.
Il mondo dove Harry vive è complesso e non sicuramente più semplice di quello dei Babbani. Le forze del bene e del male vi interagiscono e, a volte, è difficile discernere dove sono le une e le altre.
E’ sicuramente differente dal mondo dove tutte le donne sono streghe alla Rohal Dahl. Anzi, la maggior parte delle volte la magia buona scaturisce da loro, ben diversamente da quelle donne dalla testa bitorzoluta e dai piedi deformati di Le Streghe, donne che fanno della distruzione dei bambini lo scopo primario della loro vita.
Non c’è una distinzione per sesso o per provenienza tra il bene e il male. Come già detto prima, esso si annida ovunque e in ognuno di noi. Streghe e maghi spariscono imprigionati nei quadri come le figure nascono e spariscono dall’albero genealogico di Sirius Blake, cancellato dalla sua famiglia come non appartenente alla casata perché traditore. Perché ha seguito il bene.
Non è neppure una distinzione per classi sociali. Professori, medici, appartenenti alle alte sfere del ministero o semplici passa carte sono tutti potenziali esseri malefici, o che tali possono diventare se incontrano sulla loro strada il male…..e non lo riconoscono.
Molti di loro tengono come schiavi i piccoli elfi che si auto puniscono perché abituati a soffrire e ad avere il senso di colpa. Non hanno nulla e non possono possedere nulla. Il possesso e la conoscenza, quindi, darebbero loro la libertà. Ma come potrebbero gestirla, abituati alla sottomissione da sempre?
Vedo un gran parallelismo da questo punto di vista con la saga de Il Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien. Ogni figura è legata ad una proprio ruolo e, quindi, la aspetta un destino prefissato. Cosa può cambiare tutto questo? Anche il mago Bianco ha una sua controparte identica a Lui . Gli orchi, gli esseri mostruosi che sembrano essere forgiati da materiale estratto dalle miniere sono esseri che non conoscono la luce, e quindi non possono cambiare il loro destino.
Ovviamente in Harry Potter il clima è assolutamente diverso. L’ironia e l’umorismo prevalgono perché la satira sociale ha il sopravvento. E soprattutto il background dell’autrice non è sicuramente un background di grande paura e vergogna quale l’apartheid del Sud Africa, patria di Tolkien.
Ma orchi e mostri sono anche in questa società più europea e occidentale. Ed anche in questo caso è la diversità fisica a non integrarli del tutto, a separarli anche all’interno del mondo magico. Anche in questo caso i ruoli sono ben determinati.
Ed ancora una volta è il potere a far sì che l’uomo perda la propria integrità e raggiunga livelli di grande bassezza. La
voglia di potere. Che non è detto sia legata al denaro. Il Tesoro di Smeagle, lo schizofrenico personaggio della saga di Tolkien, possessore dell’anello, è un tesoro ben più grande del denaro, è il tesoro che porta a governare e a decidere il destino di tutti. La Pietra filosofale, il diario, il calice di fuoco i doni della morte non sono che mezzi per arrivare al potere, sono i simboli di questo, ma il loro valore è puramente legato a quello a cui conducono: una conoscenza dell’uomo che nessuno possiede….e se la possiedi, possiedi l’uomo.
Voldemort vuole dominare Harry, controllare la sua mente, entrare nei suoi pensieri, nei suoi sogni perché questa è la strada che porta a conoscerlo e, quindi, di conseguenza, a vincerlo.
Non è dunque una novità l’usare il mondo dei bambini per cercare di rivelare ai nostri stessi occhi il nostro mondo.
I vari ministeri del mondo magico di Harry Potter, con strani nomi e dalle funzioni incomprensibili e impossibili, ci fanno venire in mente i tragici ministeri di Orwell: dove quello ella Pace decide la guerra, quello della Verità cambia la storia e la lingua (Newspeak), quello dell’abbondanza raziona il cibo e quello dell’Amore controlla i rapporti tra gli esseri umani. E il tutto avviene assolutamente sotto gli occhi del Big Brother, il Grande Fratello che, come Voldemort, riesce a tenere a bada con i timore i suoi seguaci.
Non a caso il Ministero della Magia ha sede in Downing Street, la strada del Primo Ministro a Londra, e non caso, di nuovo, man mano che i libri procedono, i ministri si fanno sempre più corruttibili, meno saggi, più dediti alla ricerca di potere e denaro.
I ministri di tutto si preoccupano tranne che di fare il loro mestiere, governare, essere al servizio della nazione e della gente.
Anzi, non basta, si danneggiano e “duellano” tra loro. Usano armi improprie come i Mangia-morte, guardiani di Azkaban la fortezza inespugnabile. Ma come, non potrebbe bastare un
magico incantesimo per tenere a bada dei prigionieri? E di quali reati potrebbero essere colpevoli dei maghi che con un colpo di bacchetta possono risolvere i loro problemi?
Azkaban ricorda le fortezze e le prigioni di cui si parla, di cui si conosce l’esistenza, ma di cui non si hanno mai testimonianze dirette…sono nel lontano Est.
Difficile capire come mai in un mondo in cui si può cancellare la memoria del passato si possa ricorrere alla violenza per risolvere i problemi della sicurezza. Già, si può cancellare la memoria nel mondo fatato di Harry: durante il campeggio che precede il torneo mondiale di Quiddich il guardiano gabbano non deve comprender cosa veramente sta capitando e ogni tanto gli vien fatto perdere il senso del tempo e dello spazio. Un sogno che tanti umani hanno, un potere che farebbe comodo ai potenti. O, come qualcuno ipotizza, già fa comodo.
E la stampa….anche questa controllata, cambiata, manipolata a seconda delle necessità .
Sirius Black è colpevole, no innocente, Harry ha ucciso Cedric, no è un eroe….sembra impossibile, ma l’uomo, con o senza poteri, è sempre lo stesso.
No riesce mai a trovare un equilibrio e non riesce ad essere soddisfatto di ciò che ha.
Non vuole sapere la verità perché è scomodo.
“Quel cadavere che l’anno scorso piantasti nel giardino,
Ha cominciato a germogliare? Fiorirà quest’anno?
Oppure il gelo improvviso ne ha danneggiato l’aiola?
Oh, tieni il Cane a distanza, che è amico dell’uomo,
Se non vuoi che con l’unghie, di nuovo, lo metta allo scoperto!
Tu, hypocrite lecteur! – mon semblable, – mon frère!
Scriveva T.S. Eliot ne La Terra Desolata.
E Conrad faceva gridare a Kurz, già menzionato a proposito di Heart of Darkness, prima di morire Orrore! Orrore! di fronte alla scoperta di cosa è l’uomo in se stesso.
Dopo le partite, orde di Mangiamorte volano sopra i cieli del grande campo e fanno stragi, distruggono, novelli hooligans. Anche qui non c’è un fair play e i maghetti come i campioni vogliono fare il punto, a qualunque costo.
C’è divisione di classi nel mondo di Harry e non bastano le magie per far quadrare i conti ai signori Wesley che, con la loro marea di figli, stentano a sbarcare il lunario.
Non solo ma c’è una sorta di razzismo: la povera – si fa per dire, viste le sua ampie conoscenze – Hermione è molto spesso insultata in quanto mezzo sangue: lei è una maga, i suoi genitori dei Babbani. Dunque non è pura e, addirittura, ne L’Ordine Della Fenice, e nell’ultimo, I Doni della Morte, corre dei seri pericoli.
Anche in questo mondo, a proposito de L’Ordine della Fenice, c’è bisogno di gruppi semisegreti che possono controllare o vegliare su coloro che sono da proteggere contro il male. C’è bisogno di sistemi, polizie segrete. Piton diventa un infiltrato, un doppio-giochista per volere di Silente.
Dunque, non esiste la perfezione e indagando un po’ meglio e con più rispetto storico-politico, forse si potrebbero veder nei singoli personaggi, o almeno in alcuni di essi, precisi riferimenti a persone reali, partendo da Voldemert ovviamente che così tanto ha cambiato la vita, dapprima in peggio e poi in meglio, a Harry Potter.
Insomma, in questo mondo di streghe, maghi, folletti, mezzi giganti buoni, unicorni, fantasmi burloni e quadri parlanti e esistono anche scale che si muovono facendo perdere il senso della distanza e della posizione, violenti troll, lupi mannari (un tempo buoni, ma che la situazione ha reso violenti) topi e serpenti.
Ecco i serpenti. Mi vorrei soffermare su questo animale che ha una connotazione religiosa. E’ il male, rappresenta Voldemort, né è una sua reincarnazione. Voldemort che talvolta appare come un Satana tentatore nei confronti di un Harry Potter che potrebbe ancora cambiare il suo cammino e che ricerca la sua verità come i cavalieri cercavano il loro Gral, combattendo, viaggiando, sfidando la logica. Voldemort non è sicuramente un bell’uomo: è nauseante, non ha un aspetto definito, il suo volto è spesso quello di altri. In più è sgradevole anche coi suoi seguaci che punisce, maltratta e castiga. Coloro che sono interno a lui lo rispettano in quanto lo temono, e sanno che in lui non c’è perdono: Voldemort uccide.
Altri sono i simboli più o meno religiosi che si affacciano nella saga, calici, porte nascoste, strumenti che fermano tempo e spazio, ma anche solo quella stazione King’s Cross da cui parte, da un binario improbabile, il treno per il luogo più magico che esista, un luogo in cui si cresce nella consapevolezza che il bene deve vincere.
Ma il bene riesce ancora a vincere se i bambini – altro riferimento evangelico – vengono lasciati vivere con la loro ingenuità.
Il mondo di Howgart lo potrebbe permettere questo perché è lontano dal mondo di oggi. Sembra un ritorno al tempo delle fate: il lago (da cui sembra possa venire fuori Escalibur), la rocca con le torri (una Camelot Medioevale), il salone illuminato da candele, i quadri dove vivono i cavalieri, i fantasmi che si annidano anche nei bagni e che appaiono senza testa – ma non del tutto – come discendenti di quel povero Fantasma di Canterville che – guarda caso – solo l’innocenza di una bambina pura ha potuto salvare.
Già, un mondo senza auto, se dimentichiamo l’autobus della notte che fa danni ed è guidato da una testa mozza, senza play station.
E i Babbani guardano a questo mondo con disprezzo, da lontano: l’universo dell’infanzia per l’adulto rimane un mistero, ma non da scoprire, da guardare con sospetto. Il mondo degli incantesimi, l’isola che non c’è quasi simboleggia quel mondo di giochi – ora elettronici – a cui l’adulto non può partecipare.
7. Harry, il detective senza pistola
Ogni medaglia ha il suo rovescio e Harry, nuovo tipo di detective senza pistola e senza “scientifica” alle spalle deve combattere il crimine con l’aiuto degli altri dei sprovveduti amici.
Anche questa citazione del piccolo che cerca di scoprire la verità non è nuova in questo tipo di narrativa e ovviamente fa parte di quella categoria di detective senza macchia e senza paura – e senza moglie – che popolano la nostra letteratura e non solo, anche i nostri piccoli e grandi schermi e che tante parte hanno avuto quando un tempo ancora si leggeva e i gialli dei piccoli esistano. Anche i cartoni Giapponesi si servono di un mini-detective, una mente logica di adulto costretto in un vestito da bambino da una pozione, anche qui, presa per sbaglio. Conan, ecco di chi si tratta, è intelligente, bravo, ma non vive come e dove vorrebbe.
Harry è un Hardy Boy ed Hermione la sua Nancy Drew dei famosi tanti gialli per ragazzi dei vari autori che pubblicavano sotto lo pseudonimo di Franklin W. Dixon.
Hanno ancora dei valori. Pensano di poter cambiare la realtà. Combattono il crimine come guerrieri che combattono il male.
Harry, Ron e Hermione devono decodificare una marea di
indizi. La loro è una grande caccia al tesoro, e per fortuna non devono usare mezzi di trasporto comuni se no, non arriverebbero mai in tempo e dovrebbero dipendere da troppe varianti. Non ci sono crisi e scioperi per le scope volanti, per ippogrifi e per i fuochi auto-trasportanti…..la puntualità e la velocità sono garantite.
Solo, però, la loro impresa è ancor più ardua perché i loro criminali non hanno una connotazione fisica, né una connotazione sociale ben definita. Sono difficili da individuare. Sono in loro. Neppure la prova del DNA può aiutarli.