Gianfranco. Silvio mi si è fregato il partito.
Torniamo per un attimo ai giorni del “predellino”, quando Silvio era prodigo di affettuosi suggerimenti, indirizzati ai suoi colleghi di coalizione. Si sperticava in elogi alla correttezza, nei confronti di Gianfranco, Pier Ferdinando e Umberto. Io e i miei amici lavoreremo assieme per un’Italia di qua e di là, faremo, andremo. Sempre tutto coniugato ad un futuro senza scadenza, s’intende. L’Umberto è stato il primo a dire chiaro e tondo a Silvio che amici si, ma ognuno a casa propria. Pierferdy a ruota, ringraziava per il cortese invito, ma respingeva al mittente la proposta di annessione. L’unico che si è fidato, e sul piatto ci ha messo un partito con il 15% di voti veri, con tanto di tesserati, sedi di partito, bilancio annuale e congresso, è stato Gianfranco Fini. In cambio di cosa? Della promessa di costruire un partito liberale, che superasse il 40% dei consensi, che potesse fare le riforme ed ammodernare il paese. Nel frattempo Fini non è diventato comunista, non cerca combutte con Casini e Rutelli per un ribaltone. Pretende solo di partecipare al dibattito politico, e dare il suo contributo per la ristrutturazione del paese. Non sarà Berlusconi che è diventato troppo leghista? Quando questo paese capirà che i signori del palazzo non vivono la politica con la stessa passione che vive chi li vota, e che i motivi delle loro scelte sono diversi, i politici pensano alle dinamiche di voto, agli equilibri e ai contrappesi. Il tifo per la politica è un meccanismo che hanno creato per noi, per tenerci buoni e farci votare senza rompere troppo i bomboloni.