Qual è l’itinerario che conduce dalla Venere paleolitica di Willendorf alle algide modelle di Vanessa Beecroft? Cosa accomuna la nuda veritas e le lascive odalische care all’Ottocento? Non la nudità fisica, con tutto quanto ciò comporta sul piano del pudore e dello sguardo, ma la concezione del nudo come fondamento stesso della raffigurazione artistica, come immagine per antonomasia in cui confluiscono umori metafisici – la raffigurazione del divino concepito a immagine d’uomo – pensieri intorno alla perfezione della forma e più prosaiche considerazioni carnali. Un fatto è certo. Una storia dell’arte non può essere, di necessità, che una storia del nudo, delle concezioni che l’hanno determinata e delle forme in cui si è incarnata, dei gusti che l’hanno orientata e delle istanze che l’hanno resa ogni volta cultura viva. Misurare quale distanza separi la nudità degli eroi greci dalle patinate immagini digitali di oggi vuol dire comprendere molte cose, non solo a proposito delle figurazioni artistiche, ma in generale dell’idea stessa di umanità.
L’AUTORE Flaminio Gualdoni insegna Storia dell’arte antica all’Accademia di Brera. Ha diretto i musei di Modena e di Varese e la Fondazione Pomodoro a Milano. Collabora con il “Corriere della Sera”. Con Skira ha pubblicato Arte classica (2007), Una storia del libro (2008), Art. Tutti i movimenti del Novecento (2008), 99 + 1. I Maestri dell’Arte Mondiale (2009), Dizionario Skira dei termini artistici (2010).
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