L’ambasciatore americano a Mosca l’ha definita uno “Stato mafioso”, dominato da una cleptocrazia autoritaria e corrotta che prende l’alta burocrazia, gli oligarchi e la criminalità organizzata sotto la ferula di Putin. Per la verità era stato il procuratore spagnolo José Grinda Gonzales a ricorrere per primo all’espressione di “Stato mafioso”, quando in un documento giudiziario aveva rilevato che per raggiungere i suoi scopi politici il governo russo era ricorso alla criminalità organizzata, consegnando ad essa settori economici d’importanza strategica. Negli anni della senescenza di Brežnev, il Kgb restava il più efficiente apparato sovietico, dunque il solo che realisticamente potesse colmare il vuoto di potere; e quando l’Urss collassava e ogni sovietico stentava a raccapezzarsi, «quando tutti si trovavano alla spasmodica ricerca di nuove visioni, Putin restò fedele alla disciplina della corporazione », e fu in quella circostanza che accumulò i titoli necessari a scalare i vertici del potere. In qualche intellettuale la sua apparizione aveva suscitato un temperato stupore. Aleksander Zinovev lo riteneva l’unico personaggio capace di resistere alla sconvolgente americanizzazione della Russia e di assicurare la stabilizzazione del paese. A sua volta Solženicjn distingueva tra la sua piattaforma politica iniziale, in evidente continuità con le rovinose scelte di El’cin, e il successivo profilarsi di una personalità capace di rimediare ai disastri degli anni novanta.
AUTORE Lorenzo Gianotti Ha una consolidata conoscenza della Russia e dell’est europeo. Tra le opere pubblicate citiamo: L’Ottobre ungherese sulla rivolta magiara dell’autunno 1956 (1986); Gli operai della Fiat hanno cento anni (1999); L’enigma Codeca (2002); Umberto Terracini. La passione civile di un Padre della Repubblica, Editori Riuniti, 2005. Collabora con il quotidiano Il Secolo XIX. È stato senatore della Repubblica (Pci, Pds) nel corso di tre legislature.
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