giovedì 11 giugno 2015

BANDITI, SIGNORINE, TRAFFICANTI DI INDULGENZE, PISCHELLI E TRANSESSUALI. RADICAL-CHIC E CINEMATOGRAFARI. GUARDIE, ZECCHE, TIFOSI, NAZISTI, PUGILI, INFILTRATI E PENDOLARI, BANCHIERI, AVVOCATI E CRAVATTARI. NELLA ROMA DEL NOSTRO PRESENTE SI AGGIRA UN’UMANITÀ FATTA DI DISEREDATI, EMARGINATI, UNA SUBURRA BRULICANTE SU CUI POGGIANO MALFERME LE ALTE SFERE DEL POTERE. BASTEREBBE UN SOFFIO PER MANDARE ALL’ARIA IL PRECARISSIMO EQUILIBRIO E SCOPERCHIARE UNA VORAGINE IN CUI TUTTO, LA NOSTRA INTERA STORIA, PUÒ PRECIPITARE. BASTEREBBE UN SOFFIO, E INVECE SI SCATENA L’URAGANO: UN AFFARE EDILIZIO DI GIGANTESCHE PROPORZIONI È DESTINATO A TRASFORMARE LE PERIFERIE ROMANE SOFFOCANDOLE SOTTO UNA COLATA DI CEMENTO. CASINÒ, ALBERGHI, RISTORANTI, PALESTRE, YACHT, NEGOZI. OSTIA COME ATLANTIC CITY. IL WATERFRONT DI ROMA. LO CHIAMANO «IL GRANDE PROGETTO», IL PIÙ GRANDE DI SEMPRE. E IMMENSI SONO GLI INTERESSI IN GIOCO. PER IL SAMURAI, ULTIMO EREDE DELLA BANDA DELLA MAGLIANA, SI TRATTA DI RIPRENDERSI ROMA...(redazione)

SUBURRA
di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo

Einaudi Editore
ebook euro 9,99
A te te ce rode perché dici che il mondo te l’ha messo al culo. E tu ripagalo colla stessa moneta. Fottilo. Fottili tutti. Vedrai come te senti mejo, dopo. Proprio come dopo una bella scopata, damme retta, a’ Samurai.
Chissà. Forse il Dandi aveva ragione. E forse nelle sue parole c’era piú verità che in tutti i libri che gli avevano acceso la mente, quando aveva deciso di abbandonare la strada maestra tracciata per lui dai genitori, la laurea, lo studio legale del padre che era stato del nonno, e prima ancora del bisnonno, e prima ancora…
O forse, semplicemente, Dandi gli aveva detto ciò che lui voleva sentirsi dire.
Il suicidio venne accantonato. 
Dandi e il Samurai lasciarono insieme il penitenziario di Regina Cœli.
Il Dandi lo presentò ai suoi amici.
Il Samurai entrò nella banda.
Roba di un altro tempo.
Il Dandi era morto.
Il Libanese era morto.
Tanti altri erano morti, qualcuno era diventato infame, qualcuno si faceva la galera in silenzio, sognando di ricominciare, magari con un lavoretto senza pretese.
Il Samurai era ancora là. L’antico nome di battaglia denunciava ormai soltanto sogni abbandonati. Ad affibbiarglielo era stato il Dandi, ma lui aveva cercato di esserne degno.
E il potere, quello, era concreto, vivo, reale.
Il Samurai era il numero uno.
Banditi, signorine, trafficanti di indulgenze, pischelli e transessuali. Radical-chic e cinematografari. Guardie, zecche, tifosi, nazisti, pugili, infiltrati e pendolari, banchieri, avvocati e cravattari. Nella Roma del nostro presente si aggira un’umanità fatta di diseredati, emarginati, una suburra brulicante su cui poggiano malferme le alte sfere del potere. Basterebbe un soffio per mandare all’aria il precarissimo equilibrio e scoperchiare una voragine in cui tutto, la nostra intera storia, può precipitare. Basterebbe un soffio, e invece si scatena l’uragano: un affare edilizio di gigantesche proporzioni è destinato a trasformare le periferie romane soffocandole sotto una colata di cemento. Casinò, alberghi, ristoranti, palestre, yacht, negozi. Ostia come Atlantic City. Il Waterfront di Roma. Lo chiamano «il Grande Progetto», il più grande di sempre. E immensi sono gli interessi in gioco. Per il Samurai, ultimo erede della Banda della Magliana, si tratta di riprendersi Roma. Per ripartire come una volta, come quando c’erano il Dandi, il Freddo, il Libanese, che tenevano in pugno la capitale. Persino meglio di allora. Sul fronte opposto, il colonnello Malatesta. Un tempo il Samurai era suo amico, oggi è il suo rivale più spietato. Il loro scontro, – quello in cui s’incarna l’eterna lotta tra «buoni» e «cattivi», tra le istituzioni e la malavita, tra legalità e illegalità – è solo una delle infinite battaglie all’ombra del Grande Progetto. Ed è forse il più semplice da comprendere, e dunque da combattere. Ma i due avversari devono guardarsi le spalle, perché è nei loro rispettivi territori che li aspetta la guerra peggiore. Quella contro le bande criminali senza gerarchie e senza capi, che mal sopportano le ambizioni accentratrici del Samurai; quella contro i superiori conniventi e i colleghi infedeli, per i quali Malatesta è un insetto fastidioso da schiacciare. E, soprattutto, quella con una politica svuotata di ogni etica, corrotta, una politica che ha mille facce e altrettante maschere per nasconderle, ora complice e un attimo dopo ostile.
Dopo averci raccontato quello che c’era prima di Romanzo criminale con Io sono il Libanese, Giancarlo De Cataldo incontra Carlo Bonini – giornalista e autore di ACAB, adattato per il grande schermo lo scorso anno da Stefano Sollima – e di quelle vicende ci racconta il futuro. Che altro non è che il nostro presente. Il nuovo capitolo dell’infinito romanzo criminale italiano è un «noir estremo» (Libero) che mette in scena un mondo in cui il crimine diventa ultima occasione di riscatto, e lo fa alternando le singole vicende dei suoi personaggi a un grandangolo spinto, che sembra poter inquadrare l’umanità intera.
GLI AUTORI
Giancarlo De Cataldo è nato a Taranto e vive a Roma. Per Einaudi Stile libero ha pubblicato: Teneri assassini (2000); Romanzo criminale (2002); Nero come il cuore (2006, il suo romanzo di esordio); Nelle mani giuste (2007); Onora il padre. Quarto comandamento (2008) ; Il padre e lo straniero (2010); con Mimmo Rafele, La forma della paura (2009), Trilogia criminale (2009) e I Traditori (2010). Ha curato le antologie Crimini (2005) e Crimini italiani (2008). Suoi racconti compaiono anche nelle antologie The Dark Side (2006) e Omissis (2007). Dopo la fortunata versione cinematografica di Michele Placido, tra il 2008 e il 2009 Sky ha mandato in onda una serie tv ispirata a Romanzo criminale. Per Einaudi Stile Libero ha pubblicato, con Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, Giudici (2011). Nel 2012, sempre per Einaudi Stile libero, è uscito Io sono il Libanese.
Carlo Bonini (Roma, 4 marzo 1967) è un giornalista e scrittore italiano.
Giornalista professionista, dopo aver lavorato per il manifesto e il Corriere della Sera, dove si è occupato di cronache giudiziarie, è diventato inviato del quotidiano la Repubblica. È uno degli appartenenti alla tradizione di giornalismo investigativo italiano.

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